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CRITICA alla silloge "La striscia di luce"

di Elena Condemi

 

Elena è alle prese con una sfida, che ben esprime una sua lirica:

 

Nella notte che lenta

m’avvolge e mi fa sua,

incapricciandosi di me,

com’io fossi

una stella ritrovata

 

La sfida non è solo cogliere la stagione dei sentimenti, ma l’aspirazione ad un germe di felicità, di serenità dentro di sé, ma oltre l’altro; il suo sembra un invito, oltre il limite della metafora, che ci conduce a tratti ai frammenti della poetica di Eliot, con un' inquietudine che non è mai angoscia, ma vocazione a vita essenziale, che coniuga la carnalità della materia con la dimensione dell’ascolto interiore.

 

Elena è già in un iniziale spazio “al di là” e con prospettiva di apertura ad un immaginario, che coincide col reale, ci conduce, con linguaggio suadente:

 

Sono

spuma di cielo

 

nel divampare dei suoi sentimenti :

 

Cosi forse sarei,

adesso,

se

fossi ricolma di te

 

nella rivisitazione della carne :

 

E la notte gioca col giorno

sui nostri corpi ignari dell’impalpabile

 

nel buio eroso delle sconfitte e con lirismo acceso, Elena raccoglie lo splendido fiore dell’Anima e ce lo dona:

 

 Intingo l’anima,

in quel respiro breve:

seme di cielo,

interezza selvatica,

capriole di luce.

 

La Poetessa cerca così di superare il dolore del vivere?

Così ci fa sentire la sua voce... nostalgia, decadenza, paure ancestrali, la forza dell’amore, anche se non corrisposto:

 

Bevo vino nero, perché ho fame

 

Così ci incanta, così esorcizza il disagio dell’esistere.

 

 

Trieste, 15 settembre 2013

                                             Gabriella Pison

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