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Prefazione di Alessandro Prusso

Sostiene il poeta genovese Edoardo Laudisi, che le prefazio-ni, le introduzioni, i prologhi, siano da saltare completamente, lui li salta a piè pari, per entrare subito in medias res, nel corpus della poesia che è o non è, dice o non dice, suscita emozioni, sentimenti, comunica idee, provoca alla bellezza, alla meraviglia, direttamente, senza nessuna mediazione, oppure non ci riesce. La posizione di Edoardo è di una certa radicalità, talora eccessiva, ma non è neppure priva di verità. Infatti se la poesia è di grande qualità i commenti sono per lo più pleonastici, servono a far guadagnare qualche euro al critico, vero o presunto che sia, ahimè per lo più son presunti e terribili pennivendoli, ma poco più. E se non lo è, sono solo fumo negli occhi, ben calcolata e usata menzogna e quindi ancor più inutili, son persino perniciosi e fuorvianti. A dire la verità io credo che possano servire nel caso di un poeta nuovo, di un poeta che per la prima volta si affaccia all’incontro con il pubblico, che prende il coraggio a quattro mani per denudarsi, per mettere la sua anima e il suo cuore a disposizione di tutti. Che verifica, in una parola, i risultati e le potenzialità vere e presunte della sua arte, in questo caso un prologo, una prefa-zione possono essere di una certa qual utilità all’autore, che così non si sente solo e indifeso, e al lettore che in questa maniera viene invogliato, direi subitamente sedotto, e si fa un’idea generale delle particolarità dell’opera, o almeno di alcune di esse, che poi ritroverà nel corso della lettura, meglio ancora dell’avventura poetica condivisa con l’autore. Io preferirei, a dire il vero, un prologo brevissimo, di una essenzialità e intensità uniche, e provocante, fatto dall’autore stesso, come ad esempio quelli irripetibili di J.L. Borges. Ma questo, lo so, è quasi un impossibile. Conosco ancora poco Gabriella anzi quasi non la conosco, se non per contatti virtuali, tipici della nostra epoca, e come voi mi sono appena affacciato alla finestra della sua poesia.... quindi poco, molto poco vi potrò dire... nello specifico poetico. Di certo Gabriella è triestina, è una donna vivace, aperta, piena di desiderio e passione, nel senso più bello del termine; è una donna vera e viva, e quindi la sua poesia, similmente a come accade per Umberto Saba, il grande maestro giuliano della poesia italiana, a dire il vero ancor poco conosciuto, non può che essere una poesia della quotidianità, una poesia, che dalle cose concrete della vita trae spunto e alimento. Senza voli pindarici, e artifici letterari, ma piana e diretta, cercando di andare sempre al cuore delle cose. Poiché la realtà ha già in sé la sua poesia e la sua bellezza, dalla quale Gabriella si lascia sedurre costantemente e ce la rivela. Se per caso per la fretta o la disattenzione del nostro frenetico vivere ci fosse sfuggita o non l’avessimo notata. Non mi soffermerò come magari dovrei, a citare i vari passi a sostegno della mia tesi, ma lascio che il lettore vada proprio in medias res, secondo il suggerimento del Laudisi, e abbracci il corpus poetico di Gabriella così com’è, e scopra da solo la verità delle mie parole. Di certo ve ne sono alcuni alquanto efficaci, piacevoli, frizzanti, che restano nella mente e nel cuore, e che mi piacciono assai. Autentici coupes de theatre, e sorprendenti carezze liriche, che meritano di essere lette e godute. Magari nei suoi stessi luoghi, tra una ciacola in dialetto, un quartino di bianco e una granceola.


Alessandro Prusso

Genova, 22 maggio 2011

 

 

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